Meta ci farà a a metà
Da lunedì l'intelligenza artificiale di Meta su Facebook, Instagram e Whatsapp può analizzarci come una risonanza magnetica, se non abbiamo detto di no: se ci siamo riusciti invero...
È mercoledì 28 maggio. Due giorni dopo. Da lunedì in cui abbiamo iniziato a svegliarci al mattino, abbiamo controllato i social e scoperto che, se non abbiamo fatto attenzione, ormai e per sempre i nostri post, foto, pensieri, caption brillanti e battute sceme saranno usati per allenare l’intelligenza artificiale di Meta.
Il dado è tratto. E con esso anche il nostro profilo Facebook, il nostro account Instagram, i messaggi WhatsApp? No, non proprio i messaggi – lì c’è ancora la crittografia a tenerci compagnia – ma tutto ciò che abbiamo postato in pubblico o quasi, sì: da oggi fa parte della dieta proteica dei sistemi di AI del gruppo Meta.
C’era modo di evitarlo? Sì. Fino a lunedì. Ma serviva attenzione, pazienza e una piccola dose di detective digitale. Bisognava frugare tra le impostazioni sulla privacy, scovare link seminascosti, e compilare un modulo che pareva scritto da un burocrate col cuore spezzato. Non esattamente il pulsante “disattiva con un clic” a cui ci stiamo tanto affezionando.
Il punto, però, non è più cosa si poteva fare. Il punto è cosa sta succedendo adesso. Meta – la mega-mamma di Facebook, Instagram e WhatsApp – ha cambiato le sue regole e ora i suoi algoritmi imparano da noi. I nostri contenuti sono diventati i loro maestri. Pubblico una foto con mio cugino che mangia una pizza capricciosa a Stromboli? Benissimo. Da domani una AI potrebbe descrivere “una scena di felicità familiare al sapore di carciofino” meglio di me.
È il nuovo patto (non detto) dell’era digitale: l’uso gratuito dei social in cambio del nostro sapere inconsapevole. O almeno, semi-consapevole. Perché i regolamenti c’erano, le notifiche anche. Ma chi legge davvero le policy? Forse solo due persone in tutta Europa: una lavora alla Commissione e l’altra colleziona fascicoli legali per hobby.
Intanto, l’Europa ci aveva pure dato una possibilità – stretta, ma reale – di dire no. Il GDPR, il Digital Services Act, tutte quelle sigle che fanno tanto “difesa dei nostri diritti digitali”. Molti utenti però non se ne sono accorti, o hanno lasciato perdere. Troppo complicato, troppo nascosto, troppo in mezzo a tutto il resto.
Tra poco aspettiamoci IA che parlano con toni familiari, che usano emoji in modo sorprendentemente azzeccato, che sanno cosa ci fa ridere e cosa ci fa piangere (almeno in base ai nostri like).
Per ora, sappiamo che – volenti o postanti – da oggi siamo tutti, un pochino, i professori delle intelligenze artificiali di Meta. Senza cattedra. Senza stipendio. Ma con un sacco di selfie.
PS. A proposito di Meta… se volete lasciargli ancora più dati… Whatsapp è finalmente (dopo 15 anni) e ufficialmente (attenti alle finte App) anche su iPad adesso.
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Imperdibile.
E adesso si prega!