Non è che siamo diventati cattivi: è che ci stiamo abituando. Alla sofferenza, alla povertà, alla gente che dorme in macchina o fa la fila per un pasto caldo. Una specie di anestesia emotiva collettiva: vediamo tutto, ma non sentiamo più niente. Stragi, guerre, disastri umanitari… e poi il carrello della spesa, dove ci sorprendiamo se riusciamo a prendere qualcosa in offerta. È la mitridatizzazione del dolore: un neologismo per indicare un veleno preso a piccole dosi fino a non sentirne più gli effetti.
Nel frattempo la Caritas Italiana – che invece sente eccome – ha messo insieme il suo Rapporto 2025 sulla povertà in Italia, e ci sbatte in faccia dei numeri che sembrano pugni per un Paese a pericolo di infarto.
I poveri seguiti dalla Caritas sono aumentati del 62% in dieci anni. L’Italia è settima in Europa per rischio povertà o esclusione sociale. Uno su dieci è in povertà assoluta: 5 milioni e 694mila persone. Due milioni di famiglie non riescono a garantire l’indispensabile: cibo, vestiti, casa.
1- Casa e salute, le due parole chiave. Il 22,7% degli assistiti vive in "grave esclusione abitativa" (dormitori, sistemazioni precarie, o semplicemente nessuna casa). E il 10,3% non ce la fa a pagare le bollette. La salute non va meglio: il 15,7% ha “vulnerabilità sanitarie”, cioè patologie gravi e niente soldi per curarle. Non servono solo medicine, servono anche trasporti per arrivare all’ospedale. E magari un medico che risponda al telefono.
2- Poi c’è il lavoro: il 47,9% degli assistiti ha un impiego, ma guadagna talmente poco che non arriva a fine mese. Salari da fame, li chiama il rapporto. E nella fascia 35-54 anni, il 30% dei lavoratori poveri è addirittura salito. Insomma: lavori e resti povero. Come dire: "Hai vinto! Ma il premio è una scatola vuota."
Intanto, da qualche scranno romano, si continua a blaterare di "effetti benefici dell’abolizione del reddito di cittadinanza". Come se fosse una formula magica che crea occupazione. Peccato che l’equazione “meno aiuti = più lavoro” funzioni solo nei discorsi da talk show. I dati – quelli veri – dicono altro. Dicono che i salari sono bassi e le opportunità ancora di più.
Anche le sirene di questi allarmi sociali però non bastano a cambiare la rotta. Perché non è una questione economica, è una questione politica. Di visione, di priorità. Se non si investe nel sociale oggi, si paga in emergenza domani. E le pezze costano più del vestito.
Il punto è semplice, come lo sono sempre i punti chiave: non serve reinventare la ruota, basta leggere la Costituzione. Quella che dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che rimuove gli ostacoli per dare dignità a tutti. Quella Costituzione che oggi, in troppi, trattano come carta da pacchi.
Ci serve meno cinismo, e più senso civico. Meno “arrangiati” e più “organizziamoci”. Non c’è bisogno di inventare nulla. È tutto già scritto.
Ma nessuno legge più.
Gioco per la spiaggia
Grazie a Zio Lino per l’idea!
Analisi… politica.
Vogliamo parlarne? La vera novità di quest’estate!
Aggiornamento: Provato. Voto 6. Buono ma nulla di più del solito gelato al biscotto. E infilato nello stecco non è così pratico da mangiare perché sul fondo il biscotto rischia di cadere non sostenuta da nulla. Però come merendina… massì, dai!
L’erba del vicino non è sempre più verde…
Se vi lamentate del caldo, pensate che si sono persone che ogni giorno in questi mesi devono ripetere questo saluto al pubblico…
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Un motivo di più per schiacciarle…
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E adesso si prega!